La Toscana vive, come il resto d’Italia, una fase di crescita inflazionistica principalmente dovuta al rialzo dei costi energetici, alle strozzature nelle supply chain, ma assecondata da un eccesso di liquidità dovuto agli interventi della politica monetaria accomodante della BCE e da uno sviluppo di trasferimenti a famiglie e imprese, di tipo risarcitorio a pioggia.
Nei mercati caratterizzati da concorrenza monopolistica, come sono quelli in cui operano le nostre imprese, i prezzi dipendono direttamente dal costo medio del lavoro e delle materie prime e semilavorati per unità di prodotto venduto e da una quota di margine originato dalla specificità del prodotto. I margini dipendono dalla strategia di prezzo delle imprese in reazione all’aumento dei prezzi dei concorrenti e dalla capacità di trasferire sui prezzi l’aumento dei costi. In questa fase non è il costo del lavoro a spingere in su i prezzi mentre lo sono i prezzi internazionali delle materie prime e dell’energia, prevalentemente importate. I prezzi sono però inversamente correlati alla dinamica della produttività che dipende dalla struttura economica. Da noi, diversamente da Francia e Germania ma anche dalle regioni del Centro-nord, mancano le grandi imprese che sono più produttive, impiegano più lavoro e meglio qualificato, sono alla frontiera della ricerca, svolgono un ruolo cruciale di training sul mercato del lavoro. Sono le grandi e medie imprese che assumono i laureati, non le micro-piccole.
In una regione come la Toscana in cui operano una miriade di micro-piccole imprese, il caro energia è molto più inflazionistico che altrove. Quando i costi per le imprese accelerano, dunque, da noi l’inflazione decolla prima e con molta più facilità
Una ricerca recente, in un’importante rivista internazionale, mostra che esiste molta eterogeneità tra grandi e piccole imprese nel trasferire sui prezzi gli aumenti dei costi. Le piccole imprese trasferiscono quasi al 100%, mentre le grandi solo al 50%. In una regione come la Toscana in cui operano una miriade di micro-piccole imprese, il caro energia è molto più inflazionistico che altrove. Quando i costi per le imprese accelerano, dunque, da noi l’inflazione decolla prima e con molta più facilità. Ciò determina una perdita di competitività che in assenza dei mutamenti del cambio, come in Unione monetaria, è data proprio dal rapporto tra i prezzi esteri e i prezzi interni dei manufatti. Da qui una contrazione delle esportazioni nette con i partner europei.
Gli eventi della guerra e le ricadute sul prezzo dell’energia e quindi delle bollette hanno messo in un secondo piano il tema del PNRR che però rimane il più importante tentativo di modificare la struttura economica del paese per ovviare proprio al tipo di fragilità messa in evidenza. Vale la pena ricordare che alla base degli interventi del PNRR c’è l’aumento della concorrenza, il rafforzamento del tessuto produttivo delle imprese, il potenziamento dell’innovazione tramite il trasferimento tecnologico ricerca-imprese, un minore grado di dipendenza energetica, transizioni che se condotte a termine nei tempi previsti ridurranno il grado trasferimento dei maggiori costi sui prezzi mettendo la nostra economia un po’ più al riparo dalla conseguenze delle crisi come quella che viviamo.