Nel 2022 vedrà la luce una serie di riforme delle istituzioni economiche per dare all’UE una governance economica più in linea con il nuovo contesto che si è venuto creando dopo un decennio in cui si sono succedute fasi cicliche intervallate da tre crisi sistemiche di rilevanti dimensioni. E’ in corso una consultazione pubblica e vi è stata, a fine anno 2021, una presa di posizione comune Macron-Draghi per attribuire le coordinate politiche agli accordi tecnici. L’idea prevalente è quella di operare riforme senza modificare i Trattati ma agendo sulla legislazione secondaria.
Le istituzioni impegnate nella politica economica dell’UE sono principalmente due: (i) la banca centrale europea (BCE) per la politica monetaria e per assicurare, tramite organismi ad essa collegati, l’unione e la stabilità del sistema bancario europeo e (ii) la Commissione europea (CE) per attuare, anch’essa tramite organismi ad hoc, la sorveglianza delle finanze statali e per concepire una propria politica fiscale. Dall’operare di queste due istituzioni, secondo la normativa, deriva il mix politica monetaria/politica fiscale nella diverse fasi dell’andamento dell’economia dei paesi membri dell’UE.
Dopo un ventennio dall’istituzione dell’euro è possibile trarre qualche conclusione sull’efficacia e sui limiti di questo mix, in relazione alle fasi congiunturali vissute dalla
dalla UE.
- Il mix di politica fiscale e monetaria nell’era dell’Euro
L’evoluzione del mix politica monetaria e fiscale nel ventennio 2000-2020 ha messo in luce delle incongruenze, cui non è possibile prescindere nel momento in cui si pongono le basi per ricostruire un sistema di disciplina fiscale nella “nuova normalità”. A tale fine è utile ricorrere ad schematica periodizzazione del ventennio, suddividendolo in cinque sottoperiodi.
Il primo, 2000-2008, è stato caratterizzato dalla “divina coincidenza”, come l’ha battezzata Oliver Blanchard, con un tasso di inflazione medio non superiore al benchmark del 2% ed un analogo tasso di crescita medio. Il mix era caratterizzato da una “dominanza monetaria debole”, cioè una politica della BCE indipendente dalla politica di bilancio degli stati, mentre quest’ultima, vincolata dai parametri di Maastricht, derivava esclusivamente dagli effetti degli stabilizzatori automatici. La CE, nel sottoperiodo, ha svolto compiti e funzioni standard di arbitraggio dei conflitti, costruzione di consenso, e promozione dell’integrazione. Per l’Italia è stato un decennio di occasioni mancate sia per la crescita della produttività, del PIL e per il livello del debito.
Il secondo sottoperiodo, 2009-2010, è caratterizzato dalla crisi finanziaria, enfatizzata dal fallimento della Lehman Brothers, che ha determinato una profonda recessione globale, con alcuni stati come l’Italia più colpiti di altri. La BCE, pur con un colpevole ritardo è intervenuta con una politica monetaria espansiva, con i primi interventi “non convenzionali”, mentre gli stati attuavano politiche fiscali altrettanto espansive, favorite dall’affiancamento della CE alla politica della BCE. Il mix fondato sulla complementarità dei due strumenti ha consentito il recupero dell’economia globale del 2010.
Il terzo sottoperiodo 2011-2014 vede il distacco dei paesi europei del Sud (Spagna, Francia, Italia e soprattutto Grecia) dalle economie più avanzate per lo scoppio della crisi dei debiti sovrani. La CE sostituisce una politica fiscale sostanzialmente restrittiva a quella monetaria, ponendo in essere il Patto di stabilità e crescita che induce ad una stance fiscale pro-ciclica, appesantendo la recessione in atto. Con l’obbiettivo di controllare il deficit strutturale si diffonde la sfiducia tra i paesi membri e si acuisce il conflitto debitori/creditori e Nord/SUD
Il quarto sottoperiodo, 2015-2019, vede la ripresa diffusa nei pasi EU con l’eccezione di quelli con deficienze strutturali più marcate e spazio fiscale limitato per eccesso di debito pubblico, come l’Italia. Con il Quantitive easing (QE, programma di acquisto titoli sovrani) e il Forward guidance (FG, ancoraggio delle aspettative con annunci mirati) da parte della BCE riemerge la “dominanza fiscale”, con la CE disponibile a concedere di eccezioni al vincolo di bilancio e lo sfruttamento delle clausole di salvaguardia.
Infine il quinto sottoperiodo, 2020-2021, vede lo sviluppo della crisi da pandemia Covid-19. La conseguente recessione in tutta la UE è contenuta con la “dominanza fiscale”. La BCE abbandona la politica del controllo dei tassi di interesse continuando gli acquisti annunciati dei titoli di stato per immettere liquidità: i tassi si riducono fino ad assumere anche livelli negativi. Adesso siamo alle soglie di una diversa fase in cui il problema consiste nel riacquisire le condizioni di una “nuova normalità”, in considerazione anche di una ripresa dell’inflazione.
- I limiti della disciplina fiscale tramite le regole del Patto Stabilità e Crescita
Il precedente quadro consente di individuare i limiti della politica economica dell’UE ma anche i ripensamenti e le inversioni di rotta che sono stati opportunamente attuati. Ora, siamo ad un passaggio cruciale, per cui è utile segnalare almeno tre sintetiche valutazioni critiche.
- La rigidità delle regole fiscali che ha penalizzato la spesa pubblica per la crescita (investimenti, capitale umano, sanità vs. spesa corrente) e imposto livelli elevati della pressione fiscale
- L’asimmetria della politica fiscale del PSC che, trattando tutte le realtà allo stesso modo, cioè con gli stessi criteri e parametri, ha espresso un eccesso di attenzione verso le politiche restrittive e disattenzione verso le situazioni di squilibrio macroeconomico (es. surplus della Bilancia Commerciale)
- La sfiducia tra i paesi membri che ha dettato nell’Euro zona la prevalenza temporale delle misure, in ambito fiscale e bancario, di risk reduction rispetto a quelle di risk sharing (di fatto eludendo queste ultime), bloccando il processo di unione bancaria e rendendo pro-ciclica la fiscal stance in certi periodi cruciali
In sintesi, nel secondo decennio del ventennio si è manifestata l’impossibilità di sostenere contemporaneamente: (a) il PSC con le sue regole rigide e asimmetriche, (b) una politica monetaria vincolata ad un livello del tasso di interesse (effettivo o zero ELB/ZLB) e (c) l’assenza di una capacità fiscale europea.
In altre parole, il PSC ha dimostrato di non poter essere combinato con una politica monetaria indipendente e senza una fiscalità centralizzata cioè un bilancio comune. Infatti, si è praticata una politica monetaria accomodante lasciando scivolare senza un limite dichiarato i tassi di interesse. Ma questa soluzione, pur avendo arginato la crisi, non può essere considerata definitiva e deve essere superata per assicurare un’efficace normalità. Ciò impone una riforma degli istituti, non solo cosmetica. In particolare si tratta di ammettere
- un PSC con una maggiore flessibilità e una maggiore considerazione per la spesa per investimenti, e in generale per la crescita sostenibile, vedi par.3
- l’eccezionalità dell’accumulazione del debito per effetto della pandemia e quindi la formulazione di un piano speciale per il suo riassorbimento, vedi par.4
- un coordinamento fiscale di tipo verticale (UE verso Stati membri) insieme a quello tradizionalmente orizzontale della “sorveglianza fiscale”.
- una capacità fiscale autonoma a livello europeo, cioè diretta al finanziamento di beni pubblici europei e della politica stabilizzazione
- una politica monetaria dalle frontiere allargate (obbiettivi strategici plurimi), vedi par.5
La capacità fiscale a livello europeo (a new European budgetary system) sembra essere il mutamento istituzionale più “demanding”. Esso consentirebbe non solo interventi correttivi dall’alto verso il basso, in una logica di mix di politica fiscale a livello centrale e a livello di stati membri, in sinergia con una politica monetaria non succube di quella fiscale, ma anche la possibilità di dare vita ad un titolo safe autenticamente europeo, in quanto sorretto da entrate fiscali proprie. Questo schema consentirebbe tra l’altro di rendere perpetua la logica di intervento del NGEU, anziché one-off.
- Una nuova regola di disciplina fiscale per gli stati membri
Prima della pandemia Covid era stata proposta, come unica regola di disciplina fiscale, una Expenditure rule che ancorasse il tasso di crescita annuale della spesa pubblica nominale al tasso di crescita reale del PIL, all’inflazione attesa, e al conseguimento di un obbiettivo graduale di convergenza del debito su PIL verso un benchmark definito da stabilire (non necessariamente il 60% di Maastricht)[1]. Si abbandona dunque il saldo strutturale come indicatore di policy, l’output gap come riferimento base, e si lascia variare il livello delle entrate pro-capite lungo l’andamento del ciclo, per concentrare sull’andamento della spesa pubblica la sorveglianza. La formula ha il pregio della semplicità, della trasparenza e della flessibilità.
La proposta ha anche contenuti istituzionali. E’ prevista infatti la creazione di due organismi indipendenti, uno a livello di Commissione europea, il Consiglio fiscale europeo (CFE), e uno per ciascun stato nazionale, il Consiglio fiscale nazionale (CFN) chiamati a svolgere le contrattazioni che la regola richiede. Ogni anno il governo di uno stato membro propone un obbiettivo di medio termine (5 anni) di riduzione del debito su PIL. Sia il CF nazionale che il CFE vengono consultati e forniscono una valutazione sulla realizzabilità e ambizione dell’obbiettivo. Quindi si svolge una discussione a livello di Commissione europea su diversi parametri, come la distanza tra l’attuale debito su PIL e l’obiettivo a lungo termine (nel senso che un gap più elevato richiede un più ambizioso aggiustamento); un’ampia analisi della sostenibilità fiscale, in particolare dando credito agli stati che pongono in essere riforme di solvibilità e strutturali che favoriscono la crescita del PIL potenziale, e un’analisi della situazione economica.
La Commissione, sulla base delle indicazioni del CFE, presenta le sue conclusioni in merito ai target di riduzione del debito per ciascun stato al Consiglio che può votare contro solo con una maggioranza qualificata. Il CFN prepara una proiezione della crescita a medio termine del PIL nominale, basata sulla crescita attesa del PIL potenziale, l’inflazione attesa, e una possibile correzione ciclica, quando le condizioni iniziali differiscono in modo marcato dall’equilibrio di lungo periodo. Dato l’obbiettivo di medio termine sulla riduzione del debito, il CFN fornisce un consistente sentiero di crescita della spesa pubblica nominale e lo usa per definire un tetto per il successivo anno, da utilizzare per la preparazione del bilancio.
La spesa pubblica sotto controllo con la Expenditure rule è calcolata al netto:
- della spesa per interessi,
- della spesa per la disoccupazione
- dell’impatto atteso di ogni cambiamento discrezionale sulle entrate (basi imponibili e aliquote) e
- una quota concordata di investimenti pubblici.
I primi due aggiustamenti tendono ad una più evidente anti-ciclicità della regola, che esclude l’effetto di misure strutturali sulla spesa pubblica. In effetti, le simulazioni effettuate mostrano come la regola abbia buone proprietà anti-cicliche di fronte a shock inattesi della domanda. Il terzo aggiustamento è volto ad eludere manipolazioni delle regole fiscali (per esempio tagli pre-elettorali) che non sono compensate da riduzione di spesa.
Per quanto riguarda gli investimenti pubblici, questi possono andare a ridurre la spesa regolata tramite un accordo con il CFE o la Commissione stessa. La concessione di portare in deduzione gli investimenti, che riproduce la così detta golden rule, avrebbe carattere più sistematico dei semplici margini di flessibilità concessi fino al 2019, per meriti di “buona condotta”.
- Un piano italo-francese di assorbimento del debito Covid
Ispirato dall’accordo Macron-Draghi del 23 dicembre ed elaborato da alcuni dei più autorevoli consiglieri italo francesi[2], il piano ha l’obiettivo di rimuovere di fatto, tramite una nuova istituzione europea, incastonata presso il MES, una gran parte del peso e del rischio dell’enorme debito accumulato da ciascuno degli Stati durante la pandemia ed eventualmente anche quello accumulato durante la crisi finanziaria globale. Per l’Italia per esempio il debito Covid è stimato pari al 19,2% del prodotto lordo e quello del 2008-2009 al 12,7%.
Il meccanismo proposto dagli italo-francesi coinvolge la BCE e funzionerebbe come segue. La nuova Agenzia europea del debito emetterebbe titoli europei a basso rischio e basso rendimento per attuare, grazie ad essi, uno scambio con la BCE. Questa prenderebbe questi titoli europei dando all’Agenzia titoli di Stato di pari valore dei singoli Paesi, quelli acquistati con gli interventi di emergenza negli anni recenti, il QE. Al riguardo si stima che la BCE detenga già quasi il 30% del debito pubblico italiano.
La presa in carico dei debiti nazionali da parte dell’Agenzia dovrebbe avvenire in modo graduale in cinque anni, per esempio il 3,8% ogni anno del debito italiano creato durante il Covid. Raggiunta la quota di acquisti prestabilita, l’Agenzia terrebbe i titoli di Stato fino alla scadenza e poi ne riacquisterebbe per pari valore, a ciclo continuo, senza mai ridurre la propria esposizione. Di fatto l’Agenzia diventerebbe così un contenitore a basso costo dove resta collocato in modo duraturo una parte del debito pubblico di ciascuno Stato europeo.
Grazie a questa procedura i governi sarebbero al riparo dalle prevedibile tensioni dei mercati, dovute alla riduzione progressiva degli acquisti del QE e del conseguente aumento dei tassi di interesse (per contrastare l’inflazione insorgente). Inoltre, sarebbe molto abbassato il costo del debito degli Stati più indebitati, perché a questi ultimi verrebbe chiesto di versare all’Agenzia circa il costo in interessi sostenuto dall’Agenzia stessa per i suoi bond. Per esempio sui primi 68 miliardi di debito italiano assorbiti nel 2022 (il 3,8% del rapporto debito/PIL), l’Italia pagherebbe l’Agenzia per il servizio con 580 milioni, mentre il costo attuale in interessi per il Tesoro è invece quasi il triplo, 1,5 miliardi.
Non si può che sperare che sia la proposta della nuova regola di disciplina sia la proposta del piano di rientro dal debito eccezionale Covid possano trovare applicazione, nel corso del 2022, al termine della consultazione pubblica messa in atto dalla CE.
- Nuove frontiere della politica monetaria della Banca Centrale Europea
Il ruolo delle banche centrali è venuto mutando in modo significativo a seguito delle crisi sistemiche, dell’ultimo decennio. Fino al 2008 le banche centrali miravano sostanzialmente a fissare il tasso di interesse, tramite regole strumentali e “targeting rules”, per perseguire obbiettivi di contrasto all’inflazione. Con lo scoppio della crisi finanziaria è emersa una questione, già messa in luce negli anni a cavallo dei due secoli, se non si dovesse contemplare, come obbiettivo, anche la stabilità finanziaria e quindi il monitoraggio del prezzo delle attività che compongono i bilanci delle banche commerciali e degli intermediari finanziari.
In effetti la politica monetaria influisce sui prezzi delle attività e questi, a loro volta, sono un canale fondamentale per la sua trasmissione all’economia reale. I titoli degli attivi sono infatti utilizzabili dalle imprese come collateral per accedere ai finanziamenti delle loro iniziative. Inoltre le banche centrali si sono viste conferire la responsabilità della vigilanza micro e macro-prudenziale, una funzione che ha inevitabilmente interagito con la politica monetaria.
Per ovviare alla crisi finanziaria e la crisi da pandemia, sfociate in episodi di forte recessione, le banche centrali hanno svolto un ruolo di lender of last resort e hanno sviluppato una serie di strumenti non convenzionali, come i citati Quantitative easing e Forward guidance. Inoltre, per prima, la Fed ha previsto una revisione della soglia del 2% dell’inflazione, ammettendo una fascia di oscillazione a seconda del ciclo. La BCE si è di fatto adeguata. Per di più, senza un sistema finanziario resiliente, la politica monetaria perde di efficacia e può anche rischiare di perdere l’indipendenza, per cui gli interventi non convenzionali muovono anche in questa direzione.
Interventi come l’acquisto di titoli del debito pubblico, anche di non buona qualità, emessi da stati in crisi di sostenibilità, segnano, come abbiamo visto, il passaggio dalla “dominanza monetaria” alla “dominanza fiscale”, in cui la politica monetaria è in qualche modo subordinata all’obbiettivo di aiutare il governo a finanziare, in un contesto di recessione, la sua spesa pubblica. Tuttavia, più in generale, con l’allargamento dell’ampiezza di cicli economici e con fasi recessive e deflattive, è indispensabile coordinare politica monetaria e fiscale, mediando tra le due dominanze. E’ la “nuova normalità”.
Più recentemente la BCE si è detta pronta ad orientare l’attività (e del sistema bancario) e allargare la loro strumentazione, per venire incontro alla tematica dei cambiamenti climatici (es. privilegiare come collateral titoli di società “verdi”). Peraltro questa è forse la crisi sistemica per eccellenza, che influisce anche sulla stabilità finanziaria.
Sembra quindi di poter concludere che la BCE, per contrastare le crisi sistemiche, purtroppo ricorrenti, sarà sempre di più chiamata a riconsiderare la sua funzione per perseguire, più o meno esplicitamente, obbiettivi più ampi ed estesi che unifichino il controllo monetario, la riduzione delle oscillazioni del prodotto nazionale, la tenuta della stabilità finanziaria e la sostenibilità ambientale. Questo risultato potrebbe essere conseguito senza modificare lo statuto della BCE, che susciterebbe contrasti di natura politica molto rilevanti, ma semplicemente adattando nella prassi strumenti e operazioni ammissibili.
[1] Inizialmente la proposta è maturata all’interno dell’European Fiscal Board (esposta nel Rapporto del 2018), poi è stata ampiamente discussa e precisata a livello accademico, nelle principali riviste scientifiche.
[2] Si tratta di Charles-Henri Weymuller, dell’università di Harvard, Francesco Giavazzi, dell’università Bocconi, Veronica Guerrieri dell’università di Chicago e Guido Lorenzoni dell’università Northwestern.
“La Rubrica dei soci” n.1, 2022