L’offensiva della Russia in Ucraina non va come previsto. Putin ha voluto troppo. Finendo, in modo paradossale, per ricompattare l’Europa e gli Usa
Verranno giorni nei quali sarà possibile ragionare con animo distaccato su quanto sta succedendo di terribile in Ucraina, fatti ben lontani da qualunque previsione ispirata al più cupo pessimismo. Bisogna ammetterlo con franchezza. Su questo aveva ragione Washington, Putin non voleva una prova di forza, per sedersi in un secondo momento al tavolo dei negoziati con più carte in mano. Non voleva armare la sua diplomazia, non gli bastava l’annessione implicita del Donbass, né una neutralizzazione di fatto dell’Ucraina.
Vuole conquistare Kiev, cacciare i “nazisti”, mandare a casa il governo del presidente Zelensky, sostituirlo con un governo fantoccio, dare una lezione esemplare a tutti quei popoli ex sovietici che si sono resi autonomi da Mosca e che guardano a occidente. Perché ora è la volta dell’antica Rus’, poi forse delle province baltiche. Vuole mandare un messaggio chiaro agli Stati Uniti, all’Unione Europea, alla Nato. E agli amici. “Niente ci fa paura. La Russia è forte. Siamo una potenza nucleare. Abbiamo i missili. Attenti, possiamo anche usare le armi atomiche, Mosca è tornata sulla scena del mondo. Ci riprendiamo quello che ci è stato tolto”.
Perché Putin si ritiene l’uomo del destino, incaricato della missione storica di cancellare la vergogna della fine dell’Urss. Al prezzo di mettere in crisi l’attuale ordine del mondo, già precario, perché questo è il senso delle minacce alla Nato nel cuore dell’Europa.
Ma il calcolo potrebbe rivelarsi sbagliato. Troppo vuole. Innanzitutto come ben sanno gli americani, un conto è invadere un paese, un conto è governarlo, per giunta con più di 42 milioni di abitanti e grande più della Francia. L’esercito russo deve conquistare Kiev, e non sembra che sia cosa facile e per giunta sotto le telecamere del mondo. In un secondo tempo, cosa succede se una volta conquistata la capitale, inizia la resistenza sul modello iracheno? Davanti ha il popolo ucraino che odia la Russia, ha un buon esercito, ed ha, come avevano l’Iraq e l’Afghanistan, alleati e paesi amici alle spalle, la Polonia, la Romania, santuari da cui è possibile organizzare un flusso continuo di rifornimenti.
E come Putin sa bene, ancora gli fa male la lezione afghana, il fattore tempo nelle guerre asimmetriche è fondamentale. Appena un’invasione inizia, parte il cronometro che gira in modo inverso per invasori e resistenti. I russi devono vincere subito, chiudere la partita. Agli ucraini basta resistere, combattono per la loro causa, non hanno niente da perdere, è la loro guerra. David contro Golia. Perché il tempo logora il consenso anche nei paesi totalitari come la vecchia Unione Sovietica, dove la gente non ne poteva più di morire per Kabul mentre i frigoriferi erano vuoti. Figuriamoci adesso che comunque un po’ di libertà c’è anche nella Russia di Putin, a riprova le migliaia di arresti nelle manifestazioni di protesta nelle città russe. O anche la notizia dei ritiri di valuta dalle banche, ed il dissenso di alcuni deputati della Duma.
Ma con questa mossa, Putin ha ottenuto anche un risultato opposto sul fronte Nato: ha rivitalizzato l’alleanza, per giunta contro il nemico classico, riuscendo a rompere un tabù come la fornitura di armi da parte del parlamento tedesco.
Il fronte tra Nato e Russia ancora una volta va, come ai tempi della cortina di ferro, dal Mar Baltico al Mar Nero. Ma adesso il confine si è spostato a Est, non passa più da Berlino, parte da Tallin per arrivare a Istanbul passando dalla Polonia, dalla Romania. E anche la Turchia ha più di un conto in sospeso con Mosca, a partire dalla Crimea. Non solo: anche le neutrali Svezia e Finlandia, spaventate della nuova mossa dell’orso russo, si sono avvicinate alla Nato.
Sul campo poi ci sono le sanzioni messe in campo dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea e questa volta vi è anche lo Swift. Se gli effetti non possono essere sopravvalutati, se inoltre come tutte le sanzioni sono a doppio taglio, vista la dipendenza dal gas russo specialmente di Germania e Italia, se è vero che le riserve di oro e valuta pregiata di Mosca sono notevoli, la novità è la compattezza dimostrata dagli europei. E poi bisogna ricordare la debolezza cronica del sistema economico russo. Esporta materie prime e armi, non produce niente, ha un Pil procapite risibile, non investe in ricerca (basta guardare al numero dei brevetti: la Russia è nelle posizioni di coda della classifica sotto il 30esimo posto, dopo il Portorico, mentre l’Italia, per dare un punto di riferimento, è decima). La Russia può far fronte alla chiusura del mercato europeo con l’aiuto della Cina, ma la strada della supplenza è lunga anche per Mosca. Se l’Europa aspetta con ansia il 2025 quando arriverà il gas dall’enorme giacimento in Qatar, anche il nuovo gasdotto Power 2 che collegherà la Cina alla Siberia sarà pronto solo in quella data.
È vero, si apre la porta all’alleanza inedita sino-russa. Alleanza però tattica o strategica? Tra i due colossi non c’è partita. La Cina non ha alleati, ma clienti e i russi guardano verso Parigi, Londra, Milano, non verso Pechino. Per ora la Cina ringrazia la Russia per aver distratto e impegnato l’antagonista americano, ma la guerra nel cuore d’Europa impedisce il tranquillo interscambio di merci tra il gigante asiatico e il vecchio continente.
Situazione drammatica. Guerre nel cuore dell’Europa. E allora sorge sempre la stessa domanda. Poteva essere evitata? Potevano i paesi occidentali prevedere gli eventi? Stati Uniti e Unione Europea hanno le loro enormi responsabilità, diverse e speculari, che assieme formano un combinato disposto di miopia politica, strategica e storica veramente incredibili. Il peccato originale sta nel modo in cui finì la Guerra fredda, quando gli alleati atlantici, ben contenti del disfacimento dell’Unione Sovietica, si illusero di poter scrivere la parola fine alla storia, negando l’esistenza del problema in campo. Che fare dell’ex Urss? Che fare dei paesi dell’ex Patto di Varsavia? Che fare del mondo?
Invece di sedersi ad un tavolo per scrivere una nuova pace di Westfalia, o per essere più moderni, una nuova Yalta, scelsero con pigro semplicismo la soluzione di fatto. Annettere l’Est all’Occidente, esportare la democrazia, il libero mercato, il dollaro ed il marco, la Nato e l’Unione Europea. Si dimenticarono della storia. A niente valsero gli avvertimenti, nel 1997, di George Kennan, il teorico della strategia del containment nei confronti dell’Urss. “L’allargamento della Nato? un errore fatale… Temo la ripresa di una nuova guerra fredda”, ribadito da William Perry, segretario della difesa dal 1994 al 1997 e giustamente riportati alla memoria in questi giorni dal commentatore e pubblicista Thomas Friedman.
L’hybris americana unita all’impotenza militare europea e alla sua dipendenza energetica tutta entro una visone economicista delle relazioni internazionali, con una buona parte di responsabilità tedesche, hanno creato il contesto per il dramma che abbiamo davanti.
Il fatto è che la Nato e gli Stati Uniti hanno negato, per arroganza e facendone una questione di principio, la realtà dei fatti, cioè la dimensione geo-strategica del problema.
Le sfere di influenza esistono, per questo la Russia ha invaso l’Ucraina, la Nato non è intervenuta e gli ucraini muoiono.
Alla fine della guerra, quando si dovrà scrivere la parola pace, sul campo rimarranno assieme alle macerie ucraine anche una Russia e un’Europa più povere di prima.