Notiziario Eu-ISFE n.9/2024

11 settembre 2024

Il messaggio è semplice nel medagliere delle Olimpiadi parigine: l’Unione europea figura prima con 309 medaglie. Seguono gli Stati Uniti con 126 e poi la Cina, terza, con 91 medaglie.

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Secondo un approfondito rapporto di Michael Spence, professore emerito alla Stanford Graduate School of Business, premio Nobel per le scienze economiche (2001), dedicato all’Intelligenza Artificiale (IA), l’Unione europea è in forte ritardo rispetto agli USA e alla Cina. Molto più in giù del terzo gradino delle Olimpiadi.

Ecco le sue parole: «l’Europa rischia di rimanere indietro rispetto agli Stati Uniti e alla Cina nello sviluppo e nell’applicazione dell’Intelligenza Artificiale per tre ragioni. La prima è il relativo sottofinanziamento della ricerca di base da parte dell’Unione europea. La seconda è che manca di potenza di calcolo per supportare la ricerca. La terza è l’incapacità di sfruttare appieno l’ampia scala dell’economia europea. Con costi di sviluppo fissi così elevati e costi variabili relativamente bassi nel digitale e nell’intelligenza artificiale, la scala rappresenta un enorme vantaggio nel determinare il ritorno negli investimenti. I mercati dei capitali europei rimangono frammentati: l’integrazione del mercato dei servizi è incompleta e ostacolata dalla frammentazione e dalla regolamentazione a livello nazionale. Resta da vedere se questa situazione persisterà o se ci sarà un cambio di direzione dopo le recenti elezioni del Parlamento europeo. Due rapporti alla Commissione europea – uno di Enrico Letta e uno di prossima uscita di Mario Draghi – sostengono la necessità di elevati investimenti nella tecnologia digitale».

Non possiamo dare conto di tutto il corposo saggio di Michael Spence. Però possiamo annunciare ai nostri soci che proprio in queste ore è uscito il rapporto di Mario Draghi: The Future of European Competitiveness.

Di questo rapporto abbiamo già parlato nel nostro Notiziario, ma adesso disponiamo del testo integrale di più di 300 pagine. Diciamo solo che per realizzare gli obiettivi dei due Piani occorrerà rivedere i Trattati, ma più che altro reperire capitali ingenti per gli investimenti necessari.

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Il rapporto di Mario Draghi è un campanello di allarme per l’Unione europea. Se non si cambia, l’Europa perderà la sfida in atto nel mondo globale e conflittuale in cui viviamo. Occorrono cambiamenti radicali che si possono affrontare solo se si trova l’intesa per riformare i trattati.

La competitività europea perde nel confronto con gli USA e con la Cina per via della crescita debole, più debole della produttività. La produttività costituisce il focus del rapporto di Draghi. Specialmente in un contesto mondiale caratterizzato da forti tensioni geopolitiche, guerre e “guerre daziarie”. Insieme alla forte accelerazione dovuta alla rivoluzione tecnologica e alla transizione energetica, imposta dalla situazione climatica.

 Per affrontare queste sfide l’Ue dovrebbe mettere in campo investimenti per 800 miliardi all’anno. Investimenti di questa portata, il doppio di quelli del piano Marshall, e pari al 4-5% del PIL dell’Unione. Un impegno gigantesco, e il ministro delle finanze tedesco, Christian Lindner, ha respinto l’idea degli Eurobond per trovare questi giganteschi mezzi finanziari. Lo stesso faranno i paesi frugali, per non parlare dei partiti di destra.

Tuttavia, sia la presidente della Commissione Ursula von der Leyen sia il presidente del gruppo di maggioranza del nuovo Parlamento, Manfred Weber, sembrano intenzionati a sostenere il piano Draghi per rilanciare la competitività europea.

Il punto delicato di questo ambizioso piano di Draghi riguarda proprio il consenso politico. Riguarda cioè il metodo decisionale, specialmente il superamento del diritto di veto, tipico dei sistemi confederali, su alcuni temi cruciali come quelli previsti dal piano Draghi, a cui andrà aggiunta la questione urgente della sicurezza e la questione migratoria.

Come si vede i nodi istituzionali costituiscono sempre il vero problema della democrazia. Sia sul piano nazionale che su quello europeo. Solo che l’Unione europea non è una federazione compiuta, ma non è più nemmeno una pura e semplice confederazione. Tutti, destre e sinistre, se ne dovranno fare una ragione. I sovranisti, poi, avranno compreso che indietro non si torna e che la crisi della Ue sarebbe una crisi per tutti gli Stati nazionali aderenti. Tutti dovrebbero capire che i cittadini dell’Unione hanno ormai due patrie: quella nazionale e quella europea. Tutti siamo sulla stessa barca e dovremmo fare di tutto per non naufragare.

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La chiusura delle frontiere era nell’aria già prima, come del resto è avvenuto in altri paesi europei. Linea dura sui migranti annunciata dal cancelliere Scholz e formalizzata dal ministro dell’Interno Nancy Faeser, anche lei come il cancelliere, socialdemocratica. La ministra ha annunciato l’introduzione di controlli alle frontiere terrestri per almeno sei mesi. Si tenga presente che la Germania aveva già applicato restrizioni nei confronti di Austria, Svizzera, Repubblica Ceca e Polonia. Ora si aggiungono la Francia, l’Olanda, il Belgio, il Lussemburgo e la Danimarca. Da qui anche i respingimenti alle frontiere.

 Dal 2023 ad oggi Berlino ha intercettato e bloccato 30mila migranti. Le ragioni, ha spiegato la ministra, riguardano l’esigenza di bloccare l’elevato numero dei migranti, la necessità di proteggere la sicurezza interna, specialmente dalle minacce del «terrorismo islamista e della criminalità transfrontaliera».

Il diritto della Ue, come ha dichiarato l’ex presidente della Corte Costituzionale tedesca, passa in secondo piano quando si tratta di salvare la sicurezza e l’ordine interno della Germania. La Spd ha dovuto prendere atto della realtà specialmente dopo gli attentati islamisti, ma anche dopo i risultati elettorali in Turingia e Sassonia, dove la destra dell’Afd ha preso una valanga di voti. Alla vigilia del voto in Brandeburgo i socialdemocratici, ora in maggioranza, rischiano di perdere proprio per l’avanzata dell’estrema destra.

L’Italia segue questa svolta con preoccupazione perché negli ultimi due anni dal nostro paese sono arrivati in Germani oltre 20mila migranti.

Tutti, come è facile capire, dovranno prendere atto che la questione migratoria è una questione che riguarda tutta l’Europa e che andrà regolata in maniera realistica, salvaguardando l’emigrazione legale.