Economia

Bilanci, tagli e riforme di Alessandro Petretto

Si sta assistendo in questi giorni ad una diffusa lamentazione e protesta dei sindaci, delle grandi città come dei piccoli comuni, per l’insufficienza dei fondi per far fronte alle spese originate dalla pandemia, dagli effetti del rincaro energetico e in generale dalla guerra in Ucraina. Il sindaco di Firenze ha chiarito che, se non vi sarà un intervento diretto dello stato, non sarà possibile sostenere fondamentali spese di welfare locale, come gli asili nido, una prospettiva che giustamente non vuole assolutamente percorrere. Vi sono poi spese legate ai processi di modernizzazione dell’amministrazione che richiedono assunzione di personale qualificato, peraltro funzionali all’espletamento dei programmi del PNRR. Ha anche proposto di sopportare direttamente queste spese aggiuntive se sarà concessa una temporanea limatura dell’accantonamento, previsto dalla legge, per i crediti di dubbia esigibilità, dal 100% all’80%. E’ probabile che una soluzione sarà trovata, anche se il ministro Franco non è certamente un tipo docile e accondiscendente, in una fase in cui un po’ tutti fanno campagna elettorale assaltando le casse dello stato e auspicano lo “scostamento di bilancio”, la parola magica cui tutti ricorrono, con poca consapevolezza delle conseguenze. Ma c’è un problema di fondo che rimane insoluto.

Alcune fonti di entrata legate a fruttuose attività economiche probabilmente non saranno più confermate in futuro con i livelli degli anni d’oro, come il contributo dei turisti.

Il susseguirsi di crisi recessive esogene (pandemia e guerra) ha destabilizzato i bilanci comunali imponendo interventi risarcitori, agevolazioni tributarie settoriali, rinvii di pagamenti da parte dei fruitori di servizi, da cui è difficile tornare indietro, se non a costo di sanguinose perdite di consenso. Alcune fonti di entrata legate a fruttuose attività economiche probabilmente non saranno più confermate in futuro con i livelli degli anni d’oro, come il contributo dei turisti. Eppure anche la finanza comunale deve recuperare una normalità che consenta ai sindaci di ristabilire gli equilibri di bilancio contando sul contributo statale solo nell’ambio del meccanismo perequativo. Tuttavia, l’autonomia tributaria è stata nel corso degli anni molto ridimensionata dalla legislazione: di fatto oggi un comune può solo applicare l’IMU, quasi sempre ad aliquota massima, e ricorrere ad un’imposta con effetti distorsivi come l’addizionale all’IRPEF. Le altre fonti di entrata provengono da proventi dei servizi, tassazione sui turisti (imposta di soggiorno e ticket sui bus) o multe, tutte di incerta e variabile affidabilità.

La delega fiscale sostituirà l’addizionale all’IRPEF con una sovrimposta sul gettito IRPEF localmente riscosso, a parità di gettito aggregato (con un’aliquota media nazionale di circa il 3%). Il comune di Firenze, che attualmente applica un’aliquota dell’addizionale molto bassa, potrebbe, al memento del passaggio, confermare l’attuale gettito applicando un’aliquota di sovrimposta pari allo 0,71%, che rimane una delle più basse d’Italia. Potrebbe però modificare la sua strategia cercando di aumentare un po’ questa fonte di entrata, scegliendo di applicare aliquote gradualmente più elevate, anche per compensare la prevedibile perdita di gettito dell’imposizione sui turisti. Attualmente assistiamo al paradosso di cittadini abbienti che, non avendo nel comune case di proprietà, non pagano IMU, e che pagano aliquote ridottissime di addizionale IRPEF, per cui di fatto non contribuiscono alla spesa per i servizi indivisibili comunali, il cui peso è costantemente in crescita per motivi demografici, per necessità di manutenzione della città e per la cura delle periferie e delle aree di pregio. Forse in futuro non sarà più possibile mantenere uno schema fiscale con questi vuoti. D’altra parte, lo stato dovrà riprendere in mano alcuni progetti riformatori, lasciati in sospeso negli anni passati, per dare maggiore autonomia, consistenza e ragionevole certezza al fisco comunale.