NOTIZIARIO EU – ISFE n.6

5 maggio 2022

Draghi davanti all’assemblea plenaria Ue: occorre un «federalismo pragmatico»

Un grande discorso quello del Presidente del Consiglio Mario Draghi all’assemblea plenaria della Ue. La Presidente del Parlamento lo ha definito «una guida europea dalla mano ferma» e tutti i capigruppo dei partiti gli hanno rivolto attestati di stima. E lui si è commosso.

Cosa ha detto? Ha detto che l’Europa deve essere capace di prendere il futuro nelle proprie mani e che la guerra in corso costringe l’Unione europea a fare un salto di qualità verso un «federalismo pragmatico» in grado di fronteggiare le sfide del presente. Le attuali istituzioni sono «inadeguate» e i Trattati vanno sottoposti ad una «revisione da affrontare con coraggio e fiducia». La crisi in atto sull’energia e sulle materie prime richiede uno sforzo come quello del Next Generation EU, perché nessun Paese da solo, soprattutto tra quelli più deboli, «può farcela da solo e nessuno può essere lasciato indietro».

Con grande nettezza e senza giri di parole Draghi ha detto che bisogna fare della Ue un soggetto politico federale con un debito comune. Questa è la strada che con realismo andrà perseguita, magari anche ricorrendo al voto con maggioranza qualificata.

Sulla guerra in Ucraina è stato preciso: «In una guerra di aggressione non può esistere una equivalenza fra chi invade e chi resiste, proteggere gli ucraini significa proteggere noi stessi e il progetto di sicurezza e democrazia costruito negli ultimi 70 anni».

Con forza Draghi ha proposto di convocare una Conferenza della Ue sulla spesa militare e il progetto di un esercito comune. La Ue spende tre volte più della Russia, ma «abbiamo 146 sistemi di difesa diversi», ha detto Draghi. Così come servirà una politica estera unitaria e meccanismi decisionali efficaci: «Dobbiamo superare il principio dell’unanimità, da cui si origina una logica intergovernativa fatta di veti incrociati, e muoversi verso decisioni prese a maggioranza qualificata. Un’Europa capace di decidere in modo tempestivo, è un’Europa più credibile di fronte ai suoi cittadini e di fronte al mondo». Aiutare gli ucraini, ha dichiarato Draghi davanti ad una domanda del gruppo dei 5Stelle, «vuol dire soprattutto lavorare per la pace».

Un grande discorso nel quale la nostra Istituzione si riconosce pienamente e che vale per l’Europa,

ma anche per l’Italia, bisognosa di una guida sicura e illuminante.

Lavvitarsi della guerra e l’assenza di statisti

Senza offendere nessuno, la storia è piena di classi dirigenti che si comportano come “sonnambuli”, per parafrasare un grande libro sulle origini della Grande Guerra dello storico Christopher Clark, intitolato appunto I sonnambuli.

Oggi la classe dirigente europea ma anche americana, nell’affrontare la guerra in Ucraina, sembra propensa a fare ogni sforzo possibile per riportare Putin alla ragione. Il problema è che sono passati più di due mesi dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, ma ancora non si vede una via d’uscita, né con le sanzioni, né con la morale della pace, né con trattative fra sordi, che vanno avanti da quando la guerra è cominciata senza alcun risultato. Persino il Segretario generale delle Nazioni Unite, nel lungo tavolo di Putin, è stato gabellato e poi minacciato con missili quando si è recato, il giorno dopo, a Kiev.

Natalino Irti, uno dei pochi grandi saggi nel panorama intellettuale italiano, ha scritto (“Il Sole 24 ore”, 1° maggio 2022) un articolo di ammonimento. Raccomandando di richiamarsi alla storia, non solo recente, ma anche lontana per capire il presente. Allora, forse, si potranno capire motivi e tensioni che vengono da più lontano e che a volte, come nel caso dell’Ucraina e della Russia, esplodono in maniera drammatica. «Pronunzie verbali e concrete azioni, scelte e decisioni di governo» dovrebbero scaturire «da profonda consapevolezza storica», sul perché e il per come, senza cedere «ad una sorta di primitività senza passato».

Bisogna dire che i media e la rete, spesso, non alimentano né la consapevolezza storica, né giudizi improntati alla cautela e alla gravità delle situazioni. La storia non serve certo a giustificare il presente, «ma piuttosto [serve] il rigoroso esercizio di pensiero e di spirito critico: quel ricostruire storico, il quale è anche serio ‘costruire’ dell’oggi e del domani». La sentenza finale di Natalino Irti rappresenta un severo monito nei tempi che viviamo, in cui la storia sembra piegata e strapazzata a fini di parte o addirittura cancellata quando non piace. «Chi ignora il passato – conclude Irti – ignora anche il presente, dove si aggira in preda a torbide emozioni ed a primitività di istinti». L’azione politica, la decisione dell’uomo di governo nascono «dalla lucida analisi del passato e dalla capacità di decifrare la complessità delle situazioni storiche, le quali rifiutano il semplicismo burocratico e lo zelo servile, ed esigono lo sguardo lungimirante dello statista». Che, spesso, è raro, anzi rarissimo. Mentre abbondano i dilettanti, che in momenti difficili possono essere anche pericolosi. Perché non sanno di quello che parlano e spesso seguono gli istinti e le emozioni dei loro elettori.

Quanto agli autocrati, come è Putin, il discorso è diverso. Nel senso che sono maestri nell’usare i sentimenti  dei  loro  popoli  e  nello  sfruttare  con  le  minacce  violente  le  democrazie  “deboli  e corrotte”. La parola “bulli” non si addice per loro, ma quella di megalomani di sicuro. Putin non sa o finge di non ricordare come finirono le minacce di Hitler alle pacifiche democrazie europee. Noi

anche non lo dovremmo dimenticare.

La Transnistria

Si tratta di una lingua di terra, con oltre 200 mila abitanti, che separa la Moldavia dall’Ucraina. Rappresenta una regione autonoma e filorussa, distesa lungo il fiume Dnestr. I ponti sul fiume sono una risorsa fondamentale per l’export del grano ucraino. Per Mosca la Transnistria rappresenta una frontiera di sbarramento contro la NATO. La Moldavia, con essa confinante, non ha mai riconosciuto l’autonomia della Transnistria e continua a considerarla parte del proprio territorio. La Moldavia con 3,5 milioni di abitanti, come la Toscana, vive con una economia dipendente da quella russa ed in particolare dal gas russo. La dipendenza energetica ed economica ha creato una totale  sudditanza  politica.  Perché  i  dirigenti  europei,  tedeschi  in  testa  e  noi  pure,  non  hanno

considerato queste storie nate dalle macerie degli imperi secolari collassati con la prima guerra mondiale e dalle macerie della seconda guerra mondiale? Forse si credeva che dalla storia non ci fosse nulla da imparare. Il passato, infatti, non ritorna, ma il passato grava sul presente. Sempre.

Tanto più se chi governa non ne tiene conto.

Alla canna del gas. L’Europa alla ricerca di una strategia comune

Lo stop al gas russo in Polonia e Bulgaria crea altri problemi alla Ue, che non riesce a trovare una strategia comune. La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è scagliata contro i ricatti di Putin sul tema del pagamento in rubli, ma ha messo in guardia dal rischio di violazione delle sanzioni da parte delle società che assecondano le richieste russe.

Gli importatori di gas russo, fra cui l’Eni e le società tedesche e austriache, si trovano fra l’incudine e il martello. Se dovessero provare a boicottare le richieste ultimative di Mosca sul pagamento in rubli, rischierebbero di vedersi tagliare le forniture con guai seri per i paesi interessati. Se però non pagano  come  chiede  Mosca,  rischiano  di  violare  contratti  internazionali.  Se  si  adeguano  alle richieste di Mosca, infine, rischiano di finire nei guai con le sanzioni.

Nel frattempo Gazprom ha annunciato un balzo dell’utile netto con i profitti moltiplicati per 13 volte. Il gruppo di Gazprom, controllato dallo Stato russo, ha registrato un utile netto di 2.159 miliardi di rubli nel 2021. Quindi prima della guerra. Ora gli utili di Gazprom sono ancora in ascesa e aiutano Putin a pagare il prezzo della guerra. Alcuni paesi europei aderenti alla Ue hanno deciso di adeguarsi alle indicazioni della politica europea sulle sanzioni, ma attendono indicazioni più chiare in proposito.

Certo è che i “ricatti di Putin” sono anche il risultato di scelte energetiche imprudenti da parte della

Ue.

Il balletto su Macron e la vittoria dellEuropa

Coloro che sono adusi a guardare il bicchiere mezzo vuoto non si rendono conto che bisogna pur sempre tener conto del bicchiere più che mezzo pieno.

Macron ha vinto con largo margine di voti le elezioni per la Presidenza della Francia, Anzi, è uno dei pochi ad averle vinte per due volte. I malpancisti italiani, specialmente, hanno avuto tanto da eccepire. Persino dopo aver gridato “al lupo, al lupo” al primo turno. Sino ad arrivare a temere la vittoria della Le Pen. Noi, che in Italia abbiamo conosciuto tre governi tre, in appena poco più di tre anni. Ed ora abbiamo, per merito di Mattarella, il governo Draghi, imposto dalla necessità di far fronte ai gravi problemi del paese. Problemi che la politica non era capace di affrontare con solide maggioranze di governo.

Macron assicurerà alla Francia un governo per cinque anni. Un governo pro-Europa, perché la vera discriminante fra Macron e i suoi avversari di destra e di sinistra era proprio l’Europa. Votare Macron voleva dire votare per la Francia e insieme per la Ue.

La vittoria di Macron in Francia e di Golob in Slovenia dovrebbe insegnare ai sovranisti che non c’è

possibilità di successo fuori dall’Unione europea e che è proprio nel mercato unico, nella moneta

unica, nei piani europei  e nello sviluppo economico e civile. Nonché quella di una sicurezza comune. Forse la maggioranza degli elettori europei lo ha capito. Non solo in Francia.

Digital Services Act. «Ciò che è illegale off line lo sarà anche su internet»

Dopo quasi un anno e mezzo di trattative tra il Parlamento e il Consiglio, l’Unione europea ha raggiunto l’intesa su un pacchetto di norme per imporre alle piattaforme internet di controllare l’offerta dei siti, sopprimendo i contenuti illegali.

La guerra in Ucraina ha dimostrato ciò che già si sapeva e cioè la necessità di un controllo più rigoroso dei contenuti della rete. In sostanza la Ue vuole regolamentare le grandi piattaforme internet a partire da Facebook (Meta), Amazon, Google e Microsoft. «Il Digital Services Act si applicherà a tutti gli intermediari online che forniscono servizi all’Unione europea. Gli obblighi previsti sono proporzionati alla natura dei servizi interessati e adeguati al numero di utenti. Il che significa che le piattaforme online molto grandi e i motori di ricerca molto grandi (più di 45 milioni di utenti nella Ue) saranno soggetti a requisiti più rigorosi».

I   contenuti   «illegali»,   secondo   le   leggi   nazionali   ed   europee,   dovranno   essere   rimossi

«prontamente». Eventuali violazioni potranno essere sanzionate con multe pari al 6% del giro di affari delle società responsabili. Per la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen

«le nuove regole proteggeranno gli utenti online, garantiranno la libertà di espressione e le opportunità economiche». L’accordo dovrà essere approvato ufficialmente dalle due istituzioni, cioè il Parlamento e il Consiglio. La speranza è che non impieghi troppo tempo, visto che il precedente regolamento europeo in materia risale a 20 anni fa, quando ancora le piattaforme internet erano allo

stato nascente.

I giganti della Rete

Qualche dato non guasta per sapere che di veri e propri giganti si tratta. Partiamo dalla raccolta pubblicitaria, la vera manna che permette l’esistenza dei colossi della rete. Twitter, che è nel mirino di Elon Musk, il padrone di Tesla, che gronda di capitali, nel 2021 ha riportato 4,5 miliardi di inserzioni. Pochi rispetto ai 115 di Facebook e Instagram (Meta). Twitter ha 217 milioni di utenti. Facebook addirittura tre miliardi di utenti. Il piccolo ultimo arrivato, Pinterest, ha superato Twitter e veleggia verso i 431 milioni di utenti. Mentre Tik Tok insegue Facebook.

Ecco perché sono  colossi ed ecco  perché ormai sono i veri “partiti” del mondo  globalizzato.

Disinformazione e falsità a parte.

La politica negli USA e nella Ue insegue i BigTech

Negli Stati Uniti come nella Ue la classe politica si è accorta dell’immenso potere non solo economico, ma “politico” che si sta concentrando nei giganti della Rete delle Reti. La senatrice

democratica Elizabeth Warren ha dichiarato  che i miliardari come Musk  «giocano  con norme diverse da tutti, accumulando potere per vantaggio personale». In realtà anche gli altri big della rete accumulano potere e quando si dimostrano più docili verso le regole (poche) dettate dalla politica, non è detto che siano meno propensi ad accumulare potere a loro vantaggio. La Warren minaccia

«forti regole sui Big Tech», ma il “New York Times” parla di un mondo sempre più in mano ai miliardari. Miliardari super che oggi sono tutti legati ai giganti della rete. Jeff Bezos, che oggi critica Elon Musk, ha comprato il “Washington Post” e così si è aggiudicato uno strumento per influenzare la politica. Proprio Bezos ha criticato il patron di Tesla, Musk, di avere interessi con la Cina di non poco rilievo. Cosa comprensibile per chi, come il padrone di Tesla, si accinge a raggiungere due milioni di auto elettriche vendute, il doppio di quelle effettivamente vendute nel

2021. Senza le batterie cinesi non è facile produrre tante auto elettriche. Tuttavia un altro gioiello di Musk si chiama SpaceX, un’azienda aerospaziale che si prefigge di rendere accessibili i viaggi nello spazio. Per ora un “gioiello” che non rende. Mentre ciò che rende per Musk è Starlink, una stazione satellitare che mette a disposizione delle compagnie aeree un servizio Wifi permanente. Musk, come è noto, si è impegnato ad espandere la sua rete nelle aree non servite da Internet, attraverso i suoi satelliti. Non a caso proprio Musk ha messo a disposizione dell’Ucraina i suoi satelliti fin dall’inizio della guerra. Per ora la compagnia aerea di Honolulu, Hawaiian Airlines, equipaggerà i suoi aerei con i servizi Wifi di Starlink. Questi servizi sono destinati ad essere accolti da altre e più importanti compagnie. Questa è davvero la nuova frontiera che farà di Elon Musk il supergigante della rete.

Così anche in Europa ci si sta preoccupando del potere di Musk, che, per ora, sembrerebbe ignorare la volontà di disciplinare i giganti della rete, che si è manifestata in Europa con il DSA, Digital Services Act. Thierry Breton, il commissario europeo al mercato interno, ha ricordato proprio a Elon Musk che la Ue intende proteggere la libertà di parola e uso dei dati, ma le società che intendono operare in Europa si dovranno adeguare alle regole adottate dalla Ue.

Per ora si tratta di un gioco di posizionamento più che un braccio di ferro. Se si dovesse pensare al

famoso coltello, non sarà facile capire chi impugnerà il manico.

Il Fondo salvaStati: European Stability Mechanism

Quanto sia importante il Fondo salva-Stati (ESM) lo si può capire non solo pensando al passato, ma guardando al presente e alla crisi che l’Unione europea sta vivendo in conseguenza di una guerra che non ci voleva. Specie dopo la pandemia. Il Presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe ha invitato gli Stati membri ad avanzare le candidature per la successione a Klaus Regling come direttore generale dello European Stability Mechanism.

L’Italia ha già avanzato una candidatura autorevole: quella di Marco Buti, che è stato direttore generale per gli Affari economici e finanziari della Ue ed attualmente è capo di gabinetto del Commissario all’economia Paolo Gentiloni. Portogallo, Olanda e Lussemburgo hanno già designato i loro candidati. Le candidature verranno discusse all’Eurogruppo a partire dal 23 maggio.