Firenze

Pubblico-privato in RSA Di Alessandro Petretto

La notizia apparsa nel Corriere Fiorentino di un consorzio italofrancese intenzionato a sviluppare l’offerta di posti letto delle RSA in Toscana ha sollevato una levata di scudi proveniente da diverse sedi. C’è chi ha posto una questione ideologica di rifiuto del privato, propugnando la superiorità della gestione pubblica delle residenze, chi ha paventato la formazione di una situazione di monopolio, chi ha sostenuto che l’assistenza tipo istituzionalizzato dovrebbe lasciare il passo a forme di assistenza domiciliare intervenendo con aiuti alle famiglie. L’importante questione ha risvolti di natura tecnica medico-assistenziale sui quali non mi soffermo per ovvia mancanza di competenze e risvolti economico sociali sui quali, invece, mi sento di poter portare qualche contributo. Il punto di partenza dovrebbe essere quello di riconoscere che siamo davanti ad un settore, un’industria mi parrebbe di poter dire, pur con il rischio di essere equivocato, in cui la domanda è crescente, per motivi di ordine demografico e per gli sviluppi della scienza medica. Pertanto per venire incontro ai bisogni della popolazione che esprime questa domanda occorre aumentare l’offerta, in termini sia quantitativi che qualitativi. Questa esigenza è talmente pressante che mi pare possa costituire un’obiezione alla tesi, per quanto valida e stimolante,  secondo cui sarebbe opportuno de-istituzionalizzare il settore. Si può affermare che ci sia posto per tutte le tipologie di offerta (residenze, domiciliare) da modellare a seconda della specificità dei bisogni sempre più articolati. Quanto al rifiuto del privato nel settore per la superiorità del pubblico, non vi è analisi economica, convalidata da ricerche empiriche affidabili, che suggelli questa conclusione. La situazione ideale di first best, nella quale questi servizi sono offerti alla massima qualità e con equilibrio tra costi ed entrate può essere solo approssimata e lo si può fare partendo da una configurazione pubblica quanto da una configurazione privata.

Importanti studi condotti, alla fine del secolo scorso, dal premio Nobel Oliver Hart e la sua scuola hanno dimostrato come, nel campo dei servizi pubblici di natura sociale, la proprietà pubblica è incentivata a privilegiare l’aspetto qualitativo (senza però raggiungere il livello della soluzione ideale), trascurando la componente di controllo dei costi. Mentre la configurazione privata eccede nel controllo dei costi rispetto alla cura dell’aspetto qualitativo. Ma niente garantisce che la performance pubblica sia superiore a quella privata, soprattutto se l’affidamento avviene su base competitiva, per cui il monopolio viene eluso, e la regolamentazione, leggi accreditamento, è pervasiva ed efficace, in quanto fondata su contratti il più possibile “completi”, cioè con severe clausole di rispetto degli standard qualitativi e monitoraggio. Quando poi il privato è in realtà terzo-settore (no-profit), la possibilità che la migliore performance non sia pubblica tende a crescere, perché i margini sono destinati alla sola copertura dei costi di capitale e non vi è distribuzione degli utili.