Il modo in cui finirà la guerra in Ucraina deciderà la durata della pace. Ecco i problemi da risolvere perché non sia solo un cessate il fuoco
Il modo in cui finisce una guerra, le modalità cioè della pace segnano profondamente la scala di probabilità di un futuro conflitto tra gli ex belligeranti. Congressi, accordi, trattati costituiscono una lungo armamentario di strumenti che la storia, ed in modo particolare quella europea, ha elaborato. Le guerre possono avere, nella loro tragicità, un loro esito positivo se servono a costruire un nuovo ordine su nuove basi condivise e quindi una pace duratura.
Se oggi è presto per parlare di pace nel caso della guerra tra Russia e Ucraina, si può però iniziare ad analizzare gli eventi che hanno condotto a tale scontro sanguinoso nel cuore dell’Europa, nella terra di confine tra Europa e Russia, terre di incontro tra ortodossi e cattolici, tra Oriente e Occidente. Adesso però di nuovo “terre di sangue” – 10 milioni di morti tra il 1930 e il 1945 – e ancora luoghi di guerra terribile, come dimostrano oggi le notizie (ma servono indagini dettagliate) delle nuove stragi di civili innocenti a Bucha, perché sul campo non si combattono Mosca e Kiev, ma da una parte l’Occidente nelle sue articolazioni politiche, Stati Uniti, Unione Europea, e alleanza militare Nato, contro la Russia sostenuta da alleati locali, la Bielorussia, e amici internazionali, la Cina, con a fianco osservatori interessati. Conflitto totale politico, economico e militare pluridimensionale, che si svolge in terra, aria e mare.
Esercizio necessario, dunque. Perché la pace, se vorrà essere costitutiva di una nuova realtà più stabile dovrà comprendere, su due livelli, gli Stati belligeranti, Russia ed Ucraina, ed un nuovo ordine regionale tra Unione Europea, Nato e Russia. Accordi che in realtà per essere efficaci devono arrivare a prefigurare un terzo livello di relazioni internazionali e contenere elementi per disegnare non solo un equilibrio europeo, ma avere la volontà e gli strumenti per prefigurare un nuovo ordine mondiale. Accordo di pace tra belligeranti, cioè tra Stati Uniti ed ex Urss, che è mancato completamente alla fine della Guerra fredda e alla cui assenza si deve l’attuale situazione di conflittualità.
Si dice questo non per negare la violazione del diritto internazionale da parte di Putin o sminuire le sue responsabilità morali nell’aggressione all’Ucraina, ma per segnalare gli errori politici passati che hanno conseguenze terribili sul presente. Passo tanto più necessario, quello della futura collaborazione internazionale tra potenze, quanto più assolutamente impossibile risulta un unipolarismo americano.
Ma torniamo alle questioni del passato irrisolte. Sono per lo meno quattro le domande che per ora non hanno trovato nessuna risposta o risposte insufficienti e che invece meritano di essere scandagliate a fondo. Vediamole.
La prima. Perché la Russia ha giudicato più importante la questione territoriale e identitaria, variamente declinabile, del proprio sviluppo industriale, economico e sociale? Perché la Russia non si è accontentata di un successo parziale in Ucraina, come il rafforzamento delle posizioni in Donbass, magari facendo leva su Berlino per una trattativa più morbida? Perché ha buttato a mare l’alleanza strategica con la Germania, e di conseguenza con l’Europa, e ha giudicato non più utile lo scambio di materie prime contro tecnologia e investimenti? E di conseguenza ha scelto come partner strategico la Cina? Pensa davvero di sviluppare una nuova alleanza tra Cina, India, paesi produttori di petrolio, insomma di costituire una coalizione di ex non allineati? E quale ruolo vuol assumere in questo gioco, dati rapporti di forza tra Pechino e Mosca assolutamente impari? Ed il passo dell’aggressione è stato compiuto in accordo con l’Impero di Mezzo o Putin ha forzato la mano a Xi Jimping?
Veniamo all’Ucraina. L’Ucraina è uno stato appunto di confine, come dice il nome. Ha un’identità storica non fortissima, è un paese dove convivono religioni e popolazioni diverse, compresi milioni di russi, si trova accanto ad un vicino dotato di una forza superiore in modo spropositato, con cui condivide una storia intricata e drammatica di cui porta le cicatrici e ferite che ancora gemono. Tre sono le questioni, etniche, territoriali, di sicurezza.
Perché non ha provato a disinnescare la bomba etnica nelle repubbliche dell’est? La strada certo non era facile, ma esempi in Europa ve ne sono, dall’Irlanda del Nord al Sud Tirolo, in uno spettro di possibilità che va dalla totale indipendenza a statuti autonomi, a doppie nazionalità, a tutele internazionali per le minoranze. Sulla Crimea: perché cercare una prova di forza per una regione ormai persa e con deboli rapporti storici con l’Ucraina? Ultima questione: perché paventare ogni minuto una possibile richiesta di adesione alla Nato? A che è servita questa intransigenza? Quando le trattative di pace riprenderanno, la situazione non sarà meglio di prima, con i carri armati russi in casa, i missili puntati su Kiev, forse i russi ad Odessa, un paese distrutto, milioni di profughi.
In questa partita, l’Unione Europea, e in primo luogo la Germania, portano le maggiori responsabilità. La loro assenza di iniziativa politica è di una gravità assoluta. Perché far coincidere allargamento dell’Unione Europea con adesione alla Nato per tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica e del blocco di Varsavia? Non aver vigilato sugli accordi di Minsk, non essere riusciti a stabilire un tavolo di trattative, ha portato ad avere la guerra alle porte, e adesso ci ritroviamo con la politica di sicurezza, energetica ed economica decisa tra Russia, Stati Uniti e perfino Ucraina!
In ultimo, la domanda delle domande va posta alla Casa Bianca. Perché boicottare North Stream 1 e 2? perché questa paura di buoni rapporti tra Stati europei e Russia? Perché Washington ha voluto l’adesione alla Nato da parte di Kiev? Perché questa intransigenza di principio ben conoscendo le sensibilità e suscettibilità di Mosca? Perché spingerla sempre più a guardare ad Est? Sono sicuri gli Stati Uniti che sia meglio un’alleanza Russia-Cina (e poi forse India, Iran e quant’altri), piuttosto che avere a che fare con un polo euro-russo? Non era meglio per gli Stati Uniti affrontare le prossime sfide con Pechino con un fronte russo europeo tranquillo?
Se non si riesce a trovare risposte soddisfacenti ed esaustive, e speriamo condivise, a queste domande, difficilmente la pace significherà poco più di un “cessate il fuoco” sul campo, sinonimo di tregua temporanea.